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La mia storia inizia chissà dove, chissà perché.
Chi sono io? Chi sono i miei genitori? Si saranno amati? E per quale motivo hanno deciso di abbandonarmi?
Purtroppo non l’ho mai saputo.
Quello che so per certo è che sono nata due volte: la seconda è stata quando una donna meravigliosa venne a prendermi all’orfanotrofio in cui vivevo da dieci anni. Dieci lunghissimi anni durante i quali avevo sperimentato il calore e l’affetto di un numero imprecisato di famiglie, tutte meravigliose, certo, tutte premurose e ansiose di regalarmi ciò che i miei veri genitori mi avevano sempre negato. Eppure, nonostante il crogiolo di sentimenti in cui ero stata più volte catapultata, nessuno era mai riuscito a catturare il mio cuore. Perché io vivevo nell’attesa di incontrare una vera madre capace di guardarmi negli occhi e farmi sentire viva. Aspettavo solo quello. L’affetto non mi bastava, io volevo l’amore. E così, finivo sempre per fare ritorno all’orfanotrofio, la mia casa primigenia, il luogo dove avevo trascorso i miei difficili anni di bambina. Più passava il tempo, però, più diventava complicato trovare qualcuno che desiderasse occuparsi di me.
Perché stavo diventando grande.
A distanza di un paio di anni dall’ultima famiglia acquisita e dalla quale ero fuggita di notte finalmente arrivò lei.
Lei era Elena…
Quando la vidi la prima volta il mio cuore ebbe un sussulto. Era così giovane, così bella con i capelli biondo cenere raccolti in un delicato chignon, dolce come i tratti del suo viso incredibilmente da bambina.
I nostri occhi si incontrarono soltanto per una manciata di secondi, ma tanto bastò per sentire dentro di me un fuoco, un nodo allo stomaco, una tenerezza infinita mai provata.
La vidi sussurrare qualcosa all’orecchio della direttrice e poi dirigersi verso di me con un lieve sorriso e gli occhi azzurri pieni di luce. Mi raggiunse davanti a un’imponente quercia, l’albero sotto il quale ero solita nascondermi nei momenti di tristezza e quella donna luminosa come il sole catturò da subito la mia anima, immediatamente provai per lei un sentimento profondo, vivo, un’attrazione inconscia e irrinunciabile e la desiderai come madre.
Il nostro incontro fu meraviglioso e per la prima volta nella mia breve vita mi sentii esplodere di felicità. Come ciò fosse possibile ancora non lo so, so solo che mi coccolai con tenerezza in quelle emozioni incredibili e dentro di me sentii di amarla già nel profondo.
«Ciao piccolina.»
Il suono della sua voce mi fece sussultare. Timidamente la guardai negli occhi e sperai con tutta me stessa che quella donna mi portasse via con sé.
Portami via, portami via, portami via…
Ciò che desideravo nel mio piccolo cuore era soltanto un’altra vita, una vera famiglia, una madre che mi accompagnasse a scuola, che mi preparasse la colazione il mattino, che condividesse i miei sorrisi e asciugasse le mie lacrime. Ah, se solo avessi avuto il coraggio di urlarle quanto desideravo tutto questo... Invece non dissi nulla e il mio sguardo si perse altrove. La paura di un suo rifiuto mi impedì di esternare i miei sentimenti.
Eppure, nonostante i pensieri negativi e il timore di perdere per sempre quella splendida visione, io ci speravo davvero tanto.
«Come ti chiami? Io sono Elena» mi disse dopo qualche istante, strappandomi ai miei pensieri.
Non riuscii a risponderle. Le labbra serrate e un nodo stretto in gola mi impedirono di pronunciare anche una semplice parola. Per fortuna fu lei ad aiutarmi.
«Dunque, vediamo… Una bimba così carina deve avere di certo un nome altrettanto bello.»
Mi sorrise di nuovo e il mio cuore accelerò di colpo i suoi battiti. Era così bella che non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
«No, non ci riesco proprio» continuò, posando una mano sotto il mento nel gesto di riflettere. «Ho pensato a un paio di nomi che potrebbero starti bene, ma non sono sicura di aver indovinato quello giusto. Se magari mi aiuti tu….»
«Mi chiamo Vivian» riuscii finalmente a risponderle, il cuore sollevato.
«Che meraviglia! Vivian è davvero una gran bel nome!»
Sorridemmo entrambe. In pochi minuti si era instaurata un’incredibile sintonia fra noi e questo mi rese così contenta che mi sembrò di toccare il cielo con un dito.
Il pomeriggio passò in fretta, troppo in fretta. Per qualche ora Elena e io avevamo passeggiato mano nella mano nel parco adiacente l’orfanotrofio. Con lei ero stata bene, mi ero sentita serena e spensierata e sembrava che anche lei provasse le stesse emozioni.
Quel giorno mi raccontò tante cose di sé. Mi disse che aveva una bella famiglia con due bambini più o meno della mia età e che le sarebbe tanto piaciuto farmeli conoscere. Quanto lo desideravo anch’io! Avrei voluto vedere la loro bella casa, il giardino con i girasoli e il cavallo bianco nella stalla, i piatti decorati a mano dalla nonna materna e la cameretta piena di giocattoli di Sara, l’ultimogenita. Aveva dieci anni come me ed era una bambina vivace e intelligente; Elena mi disse che saremmo andate sicuramente d’accordo. Poi c’era il figlio più grande Alessandro, che tutti chiamavano Alex, dodici anni e una grande passione per gli aerei.
«Ma non quelli normali» precisò. «A lui piacciono i caccia militari, vuole diventare un top gun.»
Un top che?
Mi parlò della loro vita insieme, delle corse per portarli a scuola il mattino perché Alex si svegliava sempre tardi e della fatica per far studiare la matematica a Sara, che invece eccelleva in letteratura e disegno. Il suo più grande sogno la vedeva proprietaria di una galleria d’arte.
«Ma dimmi Vivian, tu hai una passione? C’è qualcosa nella tua vita che ti fa sentire felice anche quando le cose non vanno come vorresti?» mi chiese all’improvviso quel pomeriggio.
«Il mare» risposi d’impulso.
«Allora potresti studiare gli oceani» suggerì.
«Sì, lo vorrei tanto…»
«L’oceanografia è una scienza meravigliosa, sai? La prossima volta che ci vediamo ti porterò un bellissimo libro.»
L’eccitazione per l’inaspettata scoperta relativa al mio futuro lasciò il posto a un velo di timori. Perché la prossima volta?
Questo significava solo una cosa. Non sarei andata a casa con lei quella sera.
«Tutto bene Vivian? Come mai quel faccino triste?» domandò, notando il mio volto abbattuto.
Abbassai lo sguardo e sospirai. Chissà quando l’avrei rivista… Forse tra un anno, forse mai più. Ero convinta che sarebbe andata così.
«Guarda che la prossima volta è domani» aggiunse, come se avesse letto i miei pensieri.
Poi mi diede un bacio sulla guancia e io ricambiai il suo gesto con un abbraccio ricolmo d’amore.
«Me lo prometti?» chiesi piena di speranza.
«Te lo prometto.»
Ci salutammo così, guardandoci negli occhi. Le sue mani scivolarono piano tra le mie, poi ci separammo e quella notte non riuscii a chiudere occhio.
Anni dopo, su mia insistenza, Elena fu costretta a confermare le mie impressioni iniziali: Alex si era opposto con tutto se stesso alla mia adozione.
Lui non mi voleva. Non voleva me e il mio passato doloroso e infelice.
Mi raccontò di quella volta in cui cercò di parlargli. Alex scappava e lei lo inseguiva sperando di riportare la pace nel suo piccolo cuore trafitto da un dolore senza fine.
«Vieni subito qui!» gli urlava, rincorrendolo in giardino.
«Lasciami stare mamma…!» ribatteva lui, la fronte increspata.
«Ascoltami, per favore… Voglio parlarti solo un attimo… Tesoro fermati, per carità.»
«Ti ho già detto di lasciarmi in pace!»
Suo padre era morto da poco più di un anno e la disperazione che albergava dentro di lui aveva ridotto a brandelli la sua spensieratezza di bambino.
La scomparsa di Riccardo aveva sconvolto tutti. Un incidente d’auto aveva portato via per sempre quell’uomo che adorava, ricambiato, la sua bellissima famiglia.
Riccardo e Elena avevano diciotto e sedici anni quando si incontrarono la prima volta. Lui a quel tempo frequentava l’Accademia Aeronautica Militare e fu durante una vacanza nella città in cui viveva Elena che si conobbero. Da allora non si erano più separati. Un imprevisto gettò tutti nel panico: a soli diciassette anni la giovane rimase incinta. Forti dell’amore che li legava decisero di tenere il loro bambino, ma quella scelta tanto azzardata si scontrò ben presto con il parere contrario dei rispettivi genitori, che a quel punto fecero di tutto per separarli. Fu per quel motivo che Riccardo decise di abbandonare la carriera militare trasferendosi in seguito a Rocca Argenta, piccolo paese immerso nella campagna toscana a pochi chilometri dal mare.
Nonostante le rispettive famiglie continuassero a osteggiare la loro unione lottarono entrambi con tutte le loro forze per restare insieme e in poco tempo raggiunsero la tanto agognata felicità.
Alex e il padre si adoravano e trascorrevano insieme ogni momento libero. Riccardo trasmise al figlio la passione per l’aviazione perché in cuor suo coltivava la speranza che il suo bambino potesse, un giorno, intraprendere la strada che lui aveva volontariamente deciso di abbandonare.
Proprio in virtù di quel sentimento così speciale la sua perdita era stata un vero trauma per Alex, che da allora si era chiuso in un ostinato silenzio. Il suo carattere sfuggente e solitario lo portava a trascorrere le giornate guardando il cielo, quello stesso cielo che il papà gli aveva insegnato ad amare e che ora, invece, era diventato l’unico confidente della sua disperazione. Persino Manuel, il migliore amico di sempre, non era riuscito a risollevargli il morale.
Immaginai più volte le sue parole urlate con forza al vento…
«Non la voglio un’altra sorella… non se ne parla neanche, ma come le è venuto in mente…» Vedevo il suo volto scrutare l’orizzonte, la luce rossastra del tramonto che tinteggiava di colori sgargianti le colline sullo sfondo. Alex scappava da casa e vagava senza meta tra i prati in fiore.
Ero già legata a lui da un filo invisibile. Un filo che univa il suo animo al mio e che rendeva la sua agonia parte integrante di me.
Ben diversa era stata la reazione di Sara nei confronti della mia adozione, accettata con grande entusiasmo.
Elena mi descrisse la sua gioia quando apprese la notizia: «Tu sei contenta se adottiamo Vivian?» le aveva chiesto, sperando in una sua risposta positiva.
«Sì mamma, sono felice se mi regali una nuova sorella» le aveva confermato con gioia.
«Allora ascoltami tesoro; domani Vivian verrà qui da noi. Tutto ciò che dovrai fare è trattarla come se fosse un’amica che conosci da sempre, ok?»
Sara aveva i capelli castano chiaro, gli occhi nocciola e sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Era una bambina vivace, molto diversa dal fratello. Certo anche lei aveva sofferto per la morte del padre, ma il suo carattere spensierato le aveva consentito di riprendersi con molta più facilità rispetto a lui.
«Se viene a stare da noi può dormire nella mia camera?» mi dissero che le aveva domandato fiduciosa.
«Ma certo tesoro. Dormirà con te tutte le volte che vorrai» le rispondeva Elena.
E lei, di rimando: «Evviva! Ho una nuova sorella, ho una nuova sorella!»
In quei frangenti Elena non poté fare altro che realizzare quanto la morte del marito fosse stata meno pesante da sopportare proprio grazie alla mia nuova sorellina, che aveva cercato in tutti i modi di farle tornare il sorriso con la sua allegria.
Una sera, mi raccontò Elena, Alex era rientrato a casa intorno a mezzanotte. Preoccupata per il suo ritardo lo aveva aspettato alla finestra. Quando gli aprì la porta lo accolse con un sorriso.
«Bentornato amore. Ti ho lasciato la cena sul tavolo. Immagino tu abbia molta fame, giusto?»
«No. Buonanotte» le aveva risposto sgarbato, senza guardarla in volto.
«Aspetta un attimo Alex. Cosa credi di ottenere comportandoti in questo modo indisponente?»
«Se non lo hai ancora capito voglio solo essere lasciato in pace.»
«Che ti piaccia o no domani verrà qui la tua futura sorellina e tu sarai presente insieme a noi. Anche a costo di rinchiuderti in casa tutto il giorno.»
Alex la guardò con aria di sfida, la fronte corrucciata, gli occhi d’un azzurro fantastico, i capelli biondi spettinati. Era bellissimo e a Elena ricordava tanto suo marito Riccardo.
Un attimo dopo distolse lo sguardo dalla madre e si rinchiuse in camera sua sbattendo la porta.
«Un altro digiuno, un’altra notte senza toccare cibo» mi disse che aveva pensato. Poi quei pensieri furono sopraffatti da una terribile verità. Suo figlio stava ancora molto male per quel grave lutto che li aveva colpiti.
Elena mi confidò che era molto emozionata il giorno del mio arrivo a casa Dellis. Io avevo trascorso la notte sognando il mio ingresso là, i miei futuri fratelli e la mia nuova mamma che mi stringeva ancora a sé.
Era domenica mattina, il sole splendeva alto nel cielo, l’estate ci stava salutando per lasciare il posto ai caldi colori dell’autunno. Alex dormiva ancora e lei era entrata nella sua stanza in silenzio per regalargli un dolce risveglio.
«Tesoro è pronta la colazione» gli disse, scotendogli un poco la spalla.
Alex reagì in modo brusco.
«Lasciami in pace, ho bisogno di dormire» le rispose, voltandosi dall'altra parte.
«Lo so che stai male, ma non puoi continuare a trattarmi in questo modo.»
«Tu non sai proprio un bel niente mamma» ribatteva, urlando quelle parole con rabbia.
«Io sono tua madre e so tutto di te. So che stai soffrendo, che stai male e che ti manca papà, ma non è colpa tua se è morto. Non è colpa di nessuno e tu devi reagire. Devi essere forte perché è quello che vorrebbe anche lui.»
Afflitto da un immenso dolore nascose il volto rigato di lacrime sotto il cuscino.
«Ascoltami tesoro. Papà non c’è più, ma tu sei ancora qui, siamo tutti qui e dobbiamo trovare dentro di noi la forza per sopravvivere, altrimenti moriremo anche noi.» Nonostante avesse sempre cercato di apparire forte di fronte ai suoi figli in quell’istante nemmeno Elena poté fare a meno di lasciarsi andare a un pianto disperato, un pianto soffocato da troppo tempo. «Io amavo Riccardo più di ogni altra cosa al mondo, lui era la mia vita, era tutto per me. Anch’io sto soffrendo tanto, sai? Mi manca da morire e non faccio che pensare a lui e a quanto vorrei che fosse ancora qui con noi. Se ho deciso di adottare una bambina è solo per fare del bene. Voglio aiutare chi è in difficoltà, ridare una speranza a chi non ha mai conosciuto l’affetto di una madre e se ti sembro egoista allora dimmelo in faccia Alex. Urlami pure tutto il tuo odio e la tua disperazione ma parlami, per favore, perché se resti in silenzio io non posso aiutarti.» A quel punto il figlio, colto da un istinto di profonda compassione, afferrò la sua mano e si strinse forte a lei. «Ti prometto che saremo di nuovo una famiglia felice, te lo giuro sulla mia stessa vita. La bambina che stiamo per adottare non ha mai conosciuto i suoi genitori, è stata abbandonata quando aveva pochi giorni di vita e nessuno si è più occupato di lei. Non è facile crescere in un orfanotrofio, ecco perché la porterò qui da noi come avevamo già deciso col tuo povero padre. Lo farò per regalarle la serenità e l’amore che non ha mai avuto» gli sussurrò dolcemente, sperando di trovare la sua comprensione. «Riccardo e io avevamo deciso di ricorrere all’adozione prima ancora della sua morte. Tu non la sai tesoro, ma avevamo già completato le pratiche. Tuo padre lo voleva e lo vorrebbe a maggior ragione proprio ora.»
Alex si asciugò le lacrime e la guardò con il volto consumato dalla tristezza. «Non voglio vederti soffrire» le disse, stringendo gli occhi in due fessure. «Ho giurato a papà che ti avrei aiutato a essere felice e non voglio disattendere quella promessa.»
«Grazie amore… ti voglio tanto bene» mormorò lei con un sentimento di profonda tenerezza.
Alex, ancora piccolo, si dimostrava capace di pensare già da adulto.
Elena venne a prendermi in orfanotrofio nel primo pomeriggio. Era felice mentre guidava lungo la strada di campagna che ci avrebbe condotte a Rocca Argenta e io non stavo più nella pelle dall’emozione. A breve avrei visto materializzarsi davanti ai miei occhi la casa che mi aveva sempre descritto durante i nostri incontri, avrei incontrato i miei fratelli, avrei accarezzato il loro cavallo.
La mia vita stava subendo una virata inaspettata. Nell’oceano del mio cuore un sole sgargiante stava per sollevarsi dalle sue acque.
Quando entrammo in soggiorno sentii un meraviglioso profumo di fiori e sorrisi come non avevo mai fatto prima di quel momento. Tutto era come lo avevo immaginato: la cucina rallegrata da tende colorate, i mobili adorni di fotografie che ritraevano Sara e Alex, un comodo divano di pelle bianca, il tappeto vicino al camino. Sul fondo, proprio come Elena aveva descritto, vi era la scala che portava alle camere da letto.
La sensazione di calore che emanava quella casa scatenò i brividi sulla mia pelle, riempiendo il mio essere di gioia.
«Eccomi mamma!» urlò Sara, scendendo dal piano superiore.
L’incontro con lei fu del tutto inaspettato. Mi corse incontro e mi gettò le braccia al collo, riempiendomi di baci. Poi mi chiamò sorellina e quella semplice parola mi fece vibrare di felicità.
«Ti voglio bene Vivian!» disse, stringendomi forte a lei.
Elena ci invitò a sedere sul divano.
«Così potrete assaggiare la torta che ho preparato questa mattina!» esclamò raggiante.
Sara e io parlammo di tutto quel pomeriggio: della scuola, delle sue bambole, del suo cavallo, delle sue amiche che ogni domenica si trovavano al corso di pittura e della sua passione per il disegno. Elena frattanto aveva sistemato sul tavolo di fronte a noi una squisita merenda che sapeva tanto di famiglia felice: torta gigante al cioccolato, gelato alla vaniglia, biscotti fatti in casa. Avevano preparato tutto quanto per festeggiare il mio arrivo.
«Ma Alex dov’è finito?» le chiese Elena d’un tratto, cercando di mascherare la sua preoccupazione con un tiepido sorriso.
«Prima era su con me» rispose lei con una smorfia. «Mi ha detto di iniziare a scendere perché doveva finire di fare una cosa.»
«Vado a chiamarlo allora.»
Elena si diresse verso la scala e in quel preciso istante un ragazzino con i capelli biondi e lo sguardo corrucciato fece il suo ingresso in soggiorno.
«Siediti con noi tesoro, è arrivata Vivian» gli disse raggiante la madre.
Alex rimase immobile ai piedi della scala. Poi, con passo incerto, si avvicinò a noi.
«Ti presento Vivian!» esclamò Sara, prendendomi per mano.
Mentre lo guardavo avvicinarsi provai un tuffo al cuore.
Quel bambino dall’aria triste e smarrita sarà il mio fratellino maggiore, pensai.
Un attimo dopo era accanto a me. Gli sorrisi, e fu allora che i nostri occhi si incontrarono per la prima volta.
Dal modo in cui mi fissò capii che non era affatto contento della mia presenza nella loro casa, ma allora per quale motivo Elena non me ne aveva mai parlato?
Un nodo mi strinse forte la gola.
«Saluta Vivian» gli disse la madre.
Alex rimase ancora in silenzio, gli occhi azzurri spenti e la fronte corrugata, infine sedette di fronte a me. Lo guardai di nuovo e sul suo volto scorsi un pallore che mi fece sussultare.
«Lei è Vivian e da oggi inizierà la sua nuova vita con noi.»
Lui non disse nulla e il mio cuore cominciò a scalpitare nel petto.
«Vedo che hai dimenticato la lingua in camera tua» lo riprese poco dopo. «Quando ti ricorderai di recuperarla potremo festeggiare tutti insieme questo giorno tanto speciale.»
La situazione stava diventando difficile, ma Elena fu comunque abile a riportare il sorriso sulle mie labbra.
Il mio sguardo si spostò di nuovo in quello di Alex. Aveva il volto contratto in una smorfia, gli occhi rossi e lucidi.
Percepii con chiarezza il suo dolore e non potei fare a meno di sussultare.
Io non avevo mai avuto un padre, ma di certo potevo capire lo stato d’animo di quel ragazzino. Sapevo benissimo cosa significasse sentire la mancanza di un genitore, una sensazione che non mi aveva più abbandonata da quando, a cinque anni, avevo iniziato a comprendere la mia condizione di orfana.
Il pomeriggio trascorse in allegria e Sara si scatenò in mille giochi diversi: saltò sul divano, si rotolò sul tappeto, si mise a cantare e ballare invitandomi più volte a imitarla nelle sue acrobazie.
Lo sguardo di Alex invece era sempre perso nel vuoto. Chissà a cosa stava pensando…
Quel pomeriggio rimase con noi soltanto per un po’, poi chiese alla madre di poter tornare in camera sua e Elena acconsentì.
«Promettimi che cenerai con noi stasera» gli chiese dolcemente.
«Ok» fu la sua laconica risposta.
«Non devi dare retta a mio fratello» si intromise Sara d’un tratto. «Da quando è morto nostro padre non è più lo stesso. Sta sempre per i fatti suoi ed è diventato persino antipatico. Prima mi portava sempre a cavallo e giocava con me ogni giorno mentre ora non mi guarda quasi più in faccia. Sinceramente mi sono stufata di vederlo sempre triste.»
Rimasi senza parole di fronte a quella dichiarazione inaspettata, che non ebbi il coraggio di commentare. Avrei tanto voluto sapere qualcosa di più su di lui, ma Sara mi coinvolse in un altro dei suoi giochi di fantasia e le mie tristi riflessioni lasciarono il posto a una ritrovata spensieratezza. Anche se in realtà il pensiero dell’infelicità di Alex non mi abbandonò per tutta la giornata.
La sera arrivò in un batter d’occhio. Senza rendermene conto erano già passate cinque ora dal mio ingresso in casa Dellis.
«La cena è pronta!» proclamò Elena con gioia, mentre un meraviglioso profumo di cibo si diffondeva fra le pareti del soggiorno. «Tu vai a chiamare tuo fratello» disse, rivolgendosi a Sara. «E tu Vivian siedi vicino a me» mormorò, indicando la sedia accanto alla sua.
«Sono felice di essere qui» le rivelai con un filo di voce.
«Anche io lo sono, tutti noi lo siamo» ribatté, accarezzandomi con tenerezza il viso. «Ti chiedo soltanto di non badare troppo a Alex. Lui è un bambino meraviglioso, ma sta ancora male per la perdita di suo padre e non riesce a riprendersi.»
«Forse non è contento che io sia qui» mormorai con timidezza.
«Non è affatto così tesoro» mi rassicurò dolce. «Sono sicura invece che la tua presenza riuscirà a fargli tornare il sorriso. Domani, per esempio, potresti provare ad andare a cavallo con lui.»
«Ma io non sono capace…»
«E dov’è il problema? Alex ti insegnerà proprio come ha fatto con Sara. Diventerai una bravissima cavallerizza, vedrai.»
«Mi piacciono i cavalli, ma non so se riuscirò a diventare brava.»
«Oh, su questo non c’è dubbio, lui è un ottimo insegnante. Cavalca da quando aveva tre anni ed è davvero abilissimo.»
In quel momento chiusi gli occhi e mi vidi su uno splendido cavallo. Quell’immagine rimase impressa nella mia mente e a quel punto decisi che avrei sicuramente provato. Ero certa che quell’esperienza avrebbe lasciato un segno indelebile nella mia vita.
La notte mi infilai a letto felice. Il mio primo giorno con la famiglia Dellis era stato fantastico; avevo riso, giocato e per la prima volta in vita mia mi ero sentita a casa. Tutte quelle sensazioni mi avevano elettrizzato al punto da impedirmi di addormentarmi subito. Mi rigirai più volte nel letto con la mente affollata di mille piacevoli pensieri, emozionata nel ritrovarmi in una bellissima cameretta con le tende color arancio, il tappeto soffice, una scrivania grande e colorata.
Finalmente stavo provando l’ebbrezza di dormire in una stanza solo mia…
Quella notte mi resi conto che all’improvviso era cambiato tutto: avevo una madre meravigliosa, una sorellina dolcissima e una casa stupenda nella quale mi sarei svegliata ogni mattina della mia vita e dalla quale non sarei più andata via, per nessuna ragione al mondo.
Da quel giorno mi sarei chiamata per sempre Vivian Dellis.
Il lunedì seguente fu Elena a svegliarmi; erano circa le dieci e il sole era già alto nel cielo. Un raggio dorato entrò con prepotenza nella mia stanza, inondando di luce il mio volto. La guardai negli occhi e non potei fare a meno di sospirare felice.
«Sono davvero qui o è un sogno?» domandai incredula.
«Non è un sogno, sei proprio qui con noi» rispose, sorridendomi.
«E ci resterò per sempre?»
«Sei mia figlia e resterai per sempre con me.»
Quanto amavo quella donna, quanto mi piaceva sentire il calore del suo abbraccio.
«Ti voglio bene mamma» le dissi per la prima volta, e quella semplice parola scatenò dentro di me una miriade di sensazioni sconosciute e indescrivibili.
Scesi in cucina e trovai la tavola imbandita di dolci e altre prelibatezze preparate apposta per me da Elena. Appena Sara mi vide si lanciò su di me per abbracciarmi.
«Sorellina Vivian ti stavo aspettando! La mamma ha fatto la crostata di fragole!»
Le rivolsi un sorriso e sedetti accanto a lei mentre Elena ci fissava con gli occhi lucidi.
Era felice, proprio come lo ero io. Lo eravamo tutte e tre.
Spettinato e sempre più pallido Alex fece la sua comparsa in cucina.
«Ciao tesoro» gli disse Elena amorevole. «Siediti con noi, stiamo per fare colazione.»
«Non ho fame» rispose lui con arroganza. «Vado da Manuel» sentenziò poi a testa bassa, dirigendosi verso la porta.
«Aspetta un attimo, fermati un secondo» gli urlò la madre, conducendolo in soggiorno. Nonostante la distanza riuscii comunque a udire la loro discussione. «Fermati con noi, ti prego. Ho promesso a Vivian che più tardi le avresti insegnato ad andare a cavallo. Tra poco inizierà la scuola e non avrete più tanto tempo da passare insieme. Ti prego tesoro… non andartene.»
«Manuel mi sta aspettando» ribatté grave.
«Ti ricordi cosa mi hai detto l’altro giorno Alex? Hai detto che non vuoi più vedermi soffrire. Se te ne vai io starò molto male.»
«Non puoi pensare che preferisca insegnare a una perfetta sconosciuta ad andare a cavallo piuttosto che uscire con il mio migliore amico.»
«Ma è il suo secondo giorno nella nostra famiglia… quella bambina ha bisogno di distrarsi, di provare nuove emozioni… fallo per me amore, non te ne andare.»
«Lei non ha bisogno di me. Tu e Sara farete abbastanza per renderla felice.»
«Alex, è tua sorella. Da ieri quella bambina è tua sorella, lo capisci questo? Vive con noi, dorme con noi e sarà così per sempre. Non puoi ignorarla come se non esistesse. Porta il tuo cognome ed è tua sorella a tutti gli effetti, mi segui?»
«Porterà anche il mio cognome, ma non sarà mai mia sorella. Vorrei che te lo ficcassi bene in testa!»
«Santo cielo, va bene… per te non sarà mai una sorella, ma almeno per oggi, per un paio d’ore, mi faresti il piacere di stare qui? Poi potrai andare da Manuel.»
«Un paio d’ore e basta» rispose accigliato, dopo essere rimasto a lungo in silenzio.
Poco dopo rientrarono entrambi in cucina. Mi voltai a guardarlo, ma Alex ignorò il mio sorriso procurandomi una tristezza infinita.
«Ciao» gli dissi un poco timida.
Lui sollevò le ciglia e mi fissò a lungo. Era triste e soffriva da morire… Sentii il mio cuore accelerare i suoi battiti e mi ritrovai a ingoiare le lacrime.
«Ciao mister allegria!» si intromise Sara, lanciandogli un tovagliolo in testa.
Alex la guardò con aria di sfida costringendola a rifugiarsi sotto il tavolo.
«Bambini vi sembra il modo di comportarvi di fronte a Vivian?» li riprese Elena, recuperando Sara dal suo nascondiglio. «Scusali, ti prego. Ogni tanto questi due si lanciano le cose addosso» mi disse amorevole.
«Non preoccuparti, anche all’orfanotrofio era così» la rassicurai con un sorriso vivace. «I bambini più piccoli ci facevano un sacco di dispetti e noi grandi dovevamo sempre chiamare qualcuno per farli smettere.»
Facemmo colazione tutti insieme e fu meraviglioso. Anche se Alex non spiccicò una sola parola mi divertii moltissimo a chiacchierare con Elena e Sara. Ci raccontammo un sacco di cose, parlammo di tutto quello che avremmo fatto quel giorno e poi andammo a prepararci.
Elena aveva riempito il mio armadio di vestiti: gonne, jeans, giacche di ogni foggia… C’era davvero di tutto, un’infinità di abiti preziosi e colorati che non potei fare a meno di ammirare estasiata.
«Hai comprato tutto questo per me mamma? Io non ho mai avuto tante cose così belle» la ringraziai con gli occhi sbarrati.
«Nei prossimi giorni andremo a comprare altri abiti che sarai tu stessa a scegliere» disse, strofinandomi la testa con la mano. «Io mi sono basata sui miei gusti personali, ma da domani sarai tu stessa a decidere.»
Mi lanciai fra le sue braccia e lei mi coccolò nel modo in cui avevo sempre sognato, accarezzandomi i capelli e riempiendomi di baci.
«È come se fossi stata sempre qui con me, come se ti avessi messa al mondo io. Ti voglio bene Vivian» bisbigliò al mio orecchio.
«Anch’io ti voglio bene mamma» risposi felice.
«Sei pronta per andare a cavallo? Coraggio, indossa i jeans e gli stivali. Sono sicura che ti piacerà da impazzire. Andiamo tesoro!»
Scendemmo le scale tenendoci per mano e uscimmo in giardino, dove Sara ci corse incontro con la sua allegria esplosiva. Alex, nel frattempo, si era allontanato nella stalla. Quando ci raggiunse sul suo cavallo bianco rimasi senza parole. Sarei dovuta salire lì sopra con lui…
Non ci avevo ancora pensato, ma l’idea mi procurava un grande imbarazzo. In fondo lo conoscevo appena e poi non riuscivo a comprendere perché quel ragazzino mi mettesse sempre in soggezione.
Elena mi diede una mano e in pochi secondi mi ritrovai seduta dietro di lui. Mi sentii impacciata e insicura, arrossii e non seppi più cosa dire.
«Vai tesoro, non avere paura» mi confortò mamma.
«Tieniti forte» fu l’avvertimento di Alex, prima di partire al trotto.
Il cavallo cominciò a muoversi nel vento scompigliando i miei lunghi capelli biondi, un brivido attraversò a gran velocità la mia schiena.
Percorremmo un breve tragitto su una strada sterrata, poi ci allontanammo nei prati finché non riuscii più a scorgere la nostra casa.
Malgrado fosse settembre il sole era ancora caldo, le colline d’un verde acceso e gli alberi rigogliosi. Rocca Argenta mi piaceva moltissimo e mi piaceva moltissimo cavalcare. Chiusi gli occhi e iniziai a volare con la fantasia. Mi immaginai di correre al galoppo in riva al mare, sulla sabbia dorata, fra le onde spumose… Un fremito scosse con forza il mio corpo; niente era mai riuscito a suscitare in me sensazioni altrettanto piacevoli, ma quei pensieri furono interrotti dalla voce di Alex.
«Ti piace?»
Il cavallo, mentre ero persa a sognare, si era fermato senza che me ne accorgessi.
«Sì, mi piace» risposi timida. «Grazie per avermi portata qui, non avevo mai provato un’emozione così grande.»
Per la prima volta in due giorni vidi Alex sorridere e quella semplice espressione di gioia fece battere forte il mio cuore.
Avrei voluto dirgli tante cose, per esempio che mi dispiaceva di essere entrata nella sua vita all’improvviso e che ero consapevole del dolore che stava provando per la morte dell’adorato padre. Avrei voluto dirgli che mi sentivo vicina a lui perché sapevo cosa significasse quel senso di vuoto che lui stava vivendo da un anno e che io sentivo invece da una vita intera e anche che poteva contare sulla mia amicizia. Avrei voluto rivelargli tutto questo e molto di più, ma non lo feci. Mi limitai soltanto a sorridergli anch’io, ma questa volta lui non contraccambiò. Abbassò lo sguardo, diede una leggera spinta e Ares riprese a trottare.
«Se non ti dispiace vorrei tornare indietro. Devo vedermi con un mio amico stamattina» mi comunicò d’un tratto.
«Non c’è problema Alex. Anzi, scusami se ti ho fatto perdere tempo.»
Non ribatté nulla, ma in fondo non mi aspettavo una risposta. Sapevo benissimo del suo appuntamento con Manuel e non volevo che arrivasse tardi per colpa mia.
«Allora il ritorno lo faremo al galoppo» commentò.
«A-al galoppo?»
«Hai paura?»
«No… per niente…»
«Ok, allora stringiti a me.»
Il cuore prese a martellarmi il petto. Sapevo che i cavalli erano in grado di correre molto veloci e forse gli avevo mentito dicendogli di non provare alcuna paura.
«Sei pronta?»
«Sono pronta…»
Ares si mise a correre così rapidamente che non ebbi neppure il tempo di respirare. In un primo momento provai paura e chiusi gli occhi stringendomi ancora più forte a lui. Poi, trascorso qualche istante, lo spavento lasciò il posto a un’incredibile sensazione di libertà. Guardai il panorama intorno a me e una lacrima bagnò le mie guance. Poi un’altra, un’altra ancora… finché non scoppiai in un pianto disperato.
«Hei ma… che ti prende? Stai male?» mi chiese, fermando di colpo il cavallo. «Perché stai piangendo?»
«Non lo so Alex… scusami…» mormorai, nascondendo il volto dietro i palmi delle mani.
«Scendiamo un attimo, dai» proclamò in tutta risposta.
Non potei fare a meno di provare tanta vergogna. Come mi era venuto in mente di mettermi a piangere in quel modo e per di più proprio davanti a lui?
«Ti senti sola immagino. È per questo che piangi, vero?» domandò con un tono di voce molto dolce.
Il mio sguardo interrogativo si posò su di lui. No… come poteva pensare che mi sentissi sola proprio adesso che avevo una bella famiglia? Non era per quello che piangevo… Ma allora perché?
Fissai incantata i suoi occhi azzurrissimi, asciugai le lacrime e provai a riflettere: possibile che avesse ragione?
«Io sono felice con voi» risposi imbarazzata.
«Sarà anche così, ma non puoi pensare di ottenere in un giorno e mezzo tutto quello che ti è mancato per dieci anni. È normale che tu sia ancora un po’ triste. Non devi spaventarti. Cavalcare aiuta a liberarti dalla tristezza e fa tornare il sorriso sul tuo volto.»
Lo ascoltai rapita. Come poteva sapere così tante cose sulla vita a soli dodici anni? E come poteva conoscere i miei pensieri più intimi senza neppure sapere chi fossi davvero?
«Comunque non devi preoccuparti. Non racconterò a nessuno quello che è successo» promise, rivolgendomi un sorriso.
«Grazie» risposi, abbassando il capo, «e scusami.»
«Non ti devi scusare. Io ti capisco.»
Lo vidi guardare il cielo e sospirai. Alex aveva qualcosa che lo rendeva speciale. Qualcosa che mi attraeva e che riusciva a smuovere le mie emozioni più profonde.
Tornò a me con lo sguardo e si accorse che lo fissavo incantata. Non potei fare a meno di arrossire.
«Al ritorno andremo al trotto, così avrai più tempo per guardare il panorama e meno voglia di pensare a ciò che hai dentro, ok?» disse con dolcezza. Mi aiutò a salire di nuovo sullo splendido Ares, ma questa volta davanti a lui. «Così mi accorgo subito se stai piangendo.»
Mi sorrise ancora, lo fece con tenerezza e il mio cuore accelerò i suoi battiti.
Quando rientrammo a casa Elena e Sara erano sedute in giardino ad aspettarci.
«Com’è andata la passeggiata?» mi chiese mamma, abbracciandomi.
«È bellissimo andare a cavallo, mi piace tantissimo!» risposi eccitata.
Le raccontai della galoppata, dei posti bellissimi che avevo visto e di quanta libertà avevo provato nel correre così forte in mezzo alla natura. Lei sorrise e mi riempì di baci, poi si avvicinò a Alex e baciò anche lui.
«Grazie tesoro. Ti voglio bene» gli disse amorevole.
«Ora vado da Manuel» ribatté lui, allontanandosi.
Lo guardai andare via e mi dispiacque da morire.
Il pomeriggio trascorse sereno. Diverse volte mi capitò di ripensare alla passeggiata con Alex, al mio pianto disperato e alle sue parole per consolarmi. Lui tornò all’ora di cena; non potei fare a meno di notare il suo sguardo più sereno e ne fui felice.
«Com’è andata con Manuel?» gli chiese Elena dolcemente.
Sua madre cercava sempre di farlo parlare il più possibile, di condividere le sue esperienze. Questo ormai lo avevo capito.
«È andata bene. Siamo andati al torrente.»
«Santo cielo Alex! Quante volte te lo devo dire che quel torrente è pericoloso? Perché tu e Manuel andate sempre lì, si può sapere?»
«Perché è pericoloso mamma.»
«Non farmi arrabbiare…»
«Ma dai, sto scherzando. Non abbiamo fatto nulla di rischioso, ci siamo solo seduti sulla riva a parlare» rise.
Sedemmo tutti a tavola e gustammo le delizie preparate da mamma. Poi Sara mi chiese di dormire in camera sua e quella notte ci addormentammo tenendoci per mano.
La settimana successiva Elena mi portò a visitare quella che sarebbe diventata la mia scuola. Rimasi entusiasta della visita e persino degli insegnanti, che mi trattarono con molta gentilezza.
Il pensiero di ritrovarmi in una vera classe mi fece battere forte il cuore. Chissà quante cose nuove avrei imparato nella scuola media di Rocca Argenta…
«Sei una ragazzina molto sveglia Vivian» mi disse un’insegnante, distogliendomi dai miei vivaci pensieri. «Abbiamo parlato con i tuoi ex professori e tutti hanno lodato la tua bravura e la tua intelligenza. Siamo sicuri che ti troverai molto bene qui da noi.»
La guardai compiaciuta e sorrisi ringraziandola per l’augurio.
Sette giorni…
Soltanto sette giorni mi separavano dall’inizio di una vita che avevo sempre desiderato e sognato.
Gli anni a seguire trascorsero traboccanti di gioia. Ci furono le gite fuori porta, i tornei di calcio dei ragazzi e le esibizioni di ballo di noi ragazze, che facevano sempre commuovere mamma. A scuola ero davvero brava, mi impegnavo in ogni materia e Elena ne era entusiasta. In quegli anni il mio rapporto con Sara divenne sempre più stretto; poche persone sapevano che ero stata adottata e questo era un dettaglio fondamentale per tutta la mia famiglia. Perché era così che ci sentivamo. Una vera, grande, bellissima famiglia.
Durante il periodo che trascorsi alle scuole medie Alex non era cambiato molto. Aveva mantenuto sempre il suo carattere solitario e taciturno, soprattutto con me. Stava spesso da solo, a volte spariva per una giornata intera senza dire a nessuno dove sarebbe andato oppure trascorreva i suoi pomeriggi a cavallo o con Manuel. Io avevo simpatizzato moltissimo con il suo amico, lo consideravo un ragazzino davvero simpatico; qualche volta era stato proprio lui a darmi lezioni di equitazione, soprattutto quando Alex, e questo accadeva spesso, era di cattivo umore. Eppure, nonostante la sua apparente freddezza, aveva mostrato più volte un sentimento di tenerezza nei miei confronti.
Se gli ero vicina provavo un miscuglio di sentimenti diversi: imbarazzo e felicità, timore e gioia. Solo lui riusciva a trasmettermi sensazioni così forti e contrastanti e forse era proprio per questo che avevo imparato a volergli bene. Sentivo di potermi fidare di lui perché mi aveva aiutato in diverse occasioni: con la matematica in cui eccelleva, con i compiti di geometria, con l’inglese. Ogni tanto ci ritrovavamo da soli e anche se in quei momenti non parlavamo molto il solo fatto di stargli accanto mi faceva sentire protetta.
I cavalli, nel frattempo, erano diventati la mia passione. A volte trascorrevo interi pomeriggi a correre con Ares tra i prati. Ormai avevo acquisito un’evidente abilità, sapevo muovermi con estrema sicurezza e la mia specialità era andare al galoppo.
Quando Alex compì quattordici anni avrebbe dovuto frequentare l’Istituto Tecnico Aeronautico di una città lontana. Quello era il suo sogno di sempre, ma vi rinunciò.
«Sei impazzito?» gli aveva urlato un giorno Manuel, sorpreso dalla decisione inaspettata del suo amico.
«Non posso lasciare tre donne da sole» gli aveva risposto lui. «Sono l’unico maschio in famiglia e devo proteggerle. Se me ne andassi via mia madre avrebbe grosse difficoltà a seguire tutto quanto da sola.»
«Ma hai soltanto quattordici anni, come puoi pensare di essere indispensabile alla nostra età?»
«Non lo capisci Manuel? Non capisci proprio? Se frequentassi quella scuola la gestione della casa e dei mille problemi che capitano ogni giorno peserebbero soltanto su di lei… Non posso lasciarla sola, ha già perso mio padre e se andassi via anch’io ne soffrirebbe moltissimo.»
«Questa rinuncia ti peserà un giorno» lo aveva messo in guardia il suo amico.
Alex abbassò lo sguardo verso il prato; il fuoco della passione per l’aviazione gli bruciava dentro, eppure sentiva che non avrebbe potuto fare altrimenti.
Sentiva che quella di restare sarebbe stata la scelta migliore per tutti.
«Si tratta soltanto di aspettare pochi anni» gli aveva risposto dopo una lunga riflessione, lo sguardo perso nel cielo infuocato da un languido tramonto. «Poi entrerò in Accademia e nessuno potrà più fermarmi.»
«Alex resto di stucco… Sei proprio sicuro della tua scelta? È sempre stato il tuo sogno, perché vuoi rinunciarci?» gli chiese Elena una volta appresa la notizia.
«Non sto rinunciando al mio sogno, lo rimando soltanto di qualche anno. Appena avrò terminato il liceo scientifico farò domanda per entrare in Accademia e papà di lassù sarà orgoglioso di me.»
«Ne sei davvero convinto?»
«Sì, lo sono.»
«Posso sapere perché hai preso questa decisione?»
«No. Il motivo non ti deve interessare.»
«Amore ti voglio bene… non sai quanto» mormorò la madre, accarezzandogli il volto bellissimo. «Se non vai via la nostra famiglia resterà unita… Non potevi farmi regalo più bello» concluse con le lacrime agli occhi, che brillavano però anche di una grande felicità.